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la dipendenza affettiva

di Annamaria Vizzini

La dipendenza affettiva è una modalità disfunzionale di vivere la relazione di coppia, l ‘amore per l’altro non è fonte di crescita e di appagamento, ma è caratterizzata principalmente dal compiacere l’altro a tutti i costi. Le persone dipendenti eliminano alcune parole (o espressioni) dal loro vocabolario: “No”; “Non posso”; “Non sono d’accordo” o “Non ne ho voglia”. In breve, vivono principalmente per compiacere l’altro, cercano di mantenere a tutti i costi l’immagine di sé come generosa, gentile e altruista, per soddisfare il proprio bisogno di approvazione e riconoscimento. Il dipendente non smette di cercare la felicità al di fuori di se stesso, il che significa che non potrà mai essere pienamente felice. Infatti, la dipendenza emotiva non consente l’accesso alla felicità, la persona dipendente sarà terrorizzata dall’essere da sola perché spesso si sente incapace e inutile se non trova un modo per riempire la sua vita attraverso gli altri.

Erich Fromm, psicoanalista, disse:

“L’amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te.”

L’amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo.

Le due frasi che possono sembrare simili sono in effetti, piuttosto opposte. Amare una persona perché abbiamo bisogno di lei non è amarla.  Amare una persona perché abbiamo bisogno di lei è in definitiva una forma di manipolazione inconscia che ci spinge ad amare qualcuno per soddisfare le nostre aspettative e riempire il nostro vuoto interiore.

Come si diventa emotivamente dipendenti?

Le origini della dipendenza emotiva sono molteplici, e quasi sempre legate all’infanzia. Queste persone da bambini hanno sperimentato con il proprio “caregiver” grandi carenze emotive legati ad esempio a una mancata considerazione fino alla svalutazione dei bisogni del bambino. Spesso sono cresciuti con messaggi contrastanti come:

“Sii gentile, lascia la mamma sola perché è stanca”. “Sei grande abbastanza per prenderti cura di te stesso”. “Io so cos’è la cosa giusta per te”. Oppure messaggi svalutanti “Non vali niente” “Non fai mai niente di buono”

Il risultato è che il bambino imparerà presto a badare a se stesso, si sentirà sbagliato, non esprimerà i propri bisogni perché si aspetterà svalutazione e deprivazione. Possono esserci state situazioni in cui il bambino si è sentito abbandonato (in realtà simbolicamente) con un padre emotivamente assente, una madre depressa, l’assenza di un genitore benevolo sufficientemente nutriente per sentirsi amato incondizionatamente. Questa mancanza di una visione positiva indurrà nel bambino, e poi da adulto una sensazione di incompletezza che cercherà di compensare per tutta la vita. Il vuoto affettivo che percepirà dentro di sé lo spingerà a credere che solo gli altri saranno in grado di “riempirlo” emotivamente, tuttavia nessuno sarà così nutriente poiché il vero nutrimento nasce dal contatto del nostro Sé.

Come superare la dipendenza emotiva

Come con qualsiasi dipendenza, il primo passo per guarire è quello di ammettere di aver un problema, riconoscere gli schemi che caratterizzano ciascuna delle nostre relazioni. È importante rendersi conto che l’unica persona che possiamo cambiare siamo noi. Tutto ciò richiede un buon lavoro di introspezione e riflessione. È importante comprendere che per avere una relazione soddisfacente, non è necessario fare di più, ma fare diversamente.

Rivisitare i propri schemi

Le nostre convinzioni sono il nostro scheletro psichico e vengono costruite nella nostra infanzia. Il dipendente affettivo cerca la perfezione un ideale illusorio da cui è difficile liberarsi. Antepongono i desideri degli altri ai propri negando così una parte di sé. Essere imperfetti non significa essere respinti o abbandonati ma riconoscersi e accettarsi per ciò che si è, che abbiamo il diritto di vivere per noi stessi e con gli altri (e non per gli altri). Comprendere questi comportamenti permetterà di uscire dal falso sé che ogni dipendente emotivo costruisce.

Riconoscere le emozioni

Spesso il dipendente affettivo teme le emozioni fino al punto di negarle.

 Se siamo disconnessi con le nostre emozioni a lungo termine possono generare in sintomi quali: depressione, insonnia e somatizzazioni. Essere in grado di esprimere le proprie emozioni significa essere in grado di rinnovare i collegamenti con la propria autenticità. Inoltre, le emozioni non sono mai sbagliate, ma descrivono davvero ciò che sentiamo.

Autostima e autonomia

La maturità psicologica implica, la conoscenza e l’accettazione delle proprie capacità e limiti, l’autonomia nel processo decisionale e la competenza nella gestione delle emozioni, e delle relazioni interpersonali. La persona emotivamente dipendente lascia la propria autostima nelle mani degli altri, spesso è dubbiosa delle proprie capacità e abilità e generalmente si considera priva di valore o di poco valore per gli altri. In particolare da quelli da cui dipende. 

Per migliorare l’autostima, bisogna liberarsi dal pregiudizio negativo nella propria autovalutazione, iniziare a soddisfare adeguatamente i propri bisogni e valutare i risultati raggiunti. Imparando ad affrontare le sfide della vita a testa alta, anche se non si è sicuri di poter uscire vittoriosi. Concedersi anche il permesso di poter fallire considerando ogni fallimento come un’esperienza di apprendimento.  Col tempo, con costante determinazione e autoaffermazione, anche in caso di fallimento, alla fine si sperimenterà la giusta quota di successi. E questo aiuterà a costruire non solo la sicurezza ma anche un maggior senso di forza personale e autostima.

In conclusione, Osho disse: “Se sei capace di essere felice quando sei da solo, hai imparato il segreto della felicità”.  Nessuno può rendere la tua vita migliore di te. Diventare adulti significa anche diventare responsabili di se stessi e della propria felicità senza aspettare che gli altri ci rendano felici. 

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