IL BLOG DELLA NATUROPATIA
pnei depressione e diabete
di Maria Corgna
Le persone affette da depressione hanno un rischio più alto di sviluppare la forma più comune di diabete rispetto alle persone non depresse, secondo un nuovo studio che fa luce sui possibili collegamenti tra le due patologie.
La connessione tra diabete di tipo II, la forma della malattia strettamente connessa con l’obesità e una vita sedentaria, potrebbe essere un po’ come una strada a due sensi, dice lo studio: non solo il diabete può portare alla depressione (come ben noto ormai) ma anche la depressione può condurre al diabete.
Alcuni ricercatori, fra il 2000 e il 2005, hanno sottoposto a tre visite, 6814 pazienti: a inizio studio per 4847 soggetti non era stata fatta diagnosi di depressione. Fra tutti pazienti, durante il follow up le avvisaglie di depressione sono state più nette per i soggetti con diabete di tipo II. I pazienti arruolati nello studio con diagnosi di depressione, hanno evidenziato un 30% di possibilità in più rispetto agli altri di sviluppare diabete di tipo II. La relazione fra depressione e diabete di tipo II è da ricercare presumibilmente nel rapporto conflittuale con il cibo e la scarsa propensione per l’attività fisica. Sono necessari ulteriori studi per determinare quali strategie comportamentali adottare per intervenire su uno scorretto stile di vita e ridurre, quindi, il rischio diabete di tipo II e depressione.
Già nel 2001, al congresso annuale dell’American Diabetes Association, il dr. Greg Nichols, ricercatore alla Kaiser Permanente Center for Health Research di Portland (USA), aveva affermato che la prevalenza della depressione nelle persone affette da diabete è circa due volte superiore a quella nella popolazione generale e che nonostante il diabete in alcuni casi sia causa di depressione, a volte è anche vero il contrario. Quindi la depressione causa il diabete? La depressione è immunosoppressiva. Così, nelle persone predisposte, la depressione può provocare il diabete. Più verosimilmente, la depressione è una componente della “sindrome di insulino resistenza”, che è una costellazione di disturbi che includono il diabete, l’obesità e i disturbi cardiovascolari che sono più comuni tra le persone meno sensibili agli effetti dell’insulina.
Secondo il Dr. Patrick Lustman, ricercatore al Washington University School of Medicine, St. Louis (USA), considerato la principale autorità nel collegamento tra diabete e depressione, il concetto può essere assimilato a quello per cui la sindrome da fatica cronica può causare una varietà di problemi mentali, fisici ed emozionali. Lustman e il suo team hanno dedicato più di un decennio a dimostrare, tra le altre cose, che la depressione è collegata ad uno scarso controllo glicemico nei pazienti diabetici.
“I pazienti depressi mostrano un peggiore controllo glicemico rispetto ai pazienti non depressi dice la dr. Mary de Groot, stretta collaboratrice del dr. Lustman alla Washington University. “Abbiamo anche notato una moderata associazione tra la depressione e le complicanze del diabete. Essa è infatti risultata associata con un maggior numero di complicanze diabetiche ed una maggior gravità delle stesse.
L’insulina è il principale ormone di controllo dell’infiammazione come esplicitato da moltissimi studi. La sindrome metabolica e l’insulinoresistenza diventano quindi principalmente condizioni di infiammazione cronica. In particolare, la rivisitazione più recente dell’insulina lo rende un mediatore fondamentale della risposta anti infiammatoria: risposta che viene a mancare in condizioni di insulinoresistenza.
Le azioni biologiche dell’insulina sul versante infiammatorio, riguardano i seguenti aspetti:
Vasodilatatoria – Cardioprotettiva – Antiaggregante – Antiossidante – Antinfiammatoria – Antitrombotica
Sulla scorta di questi dati comparsi su “Circulation” nel lontano Marzo 2005, sembrerebbe spontaneo trattare l’insulinoresistenza come fosse una condizione infiammatoria, ricavandone un importante vantaggio non solo sul controllo della glicemia e dello stress ossidativo ma anche sul tono dell’umore. Si ritiene pertanto utile il monitoraggio nel tempo dello stress ossidativo, della barriera antiossidante, dell’emoglobina glicata e dell’analisi bioimpedenziometrica.
L’aumentata percentuale di grasso, infatti, predispone in modo significativo alla comparsa di infiammazione e di insulinoresistenza.
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